Qualche tempo dopo l’Omaggio a Niépce ho voluto verificare un altro aspetto della realtà della fotografia: la macchina. Contro la finestra c’è uno specchio, il sole batte sulla finestra, ne proietta l’ombra di un montante contro la parete e insieme proietta la mia ombra. Da questa ombra si vede che sto fotografando, e la mia azione appare anche nello specchio. In ambedue due i casi c’è un elemento comune: la macchina cancella il viso del fotografo, perché è all’altezza dell’occhio e nasconde i tratti del volto. La verifica è dedicata a quello che io credo sia il fotografo che più ha sentito questo problema, e ha tentato di superare la barriera che è costituita dalla macchina, cioè il mezzo stesso del suo lavoro e del suo modo di conoscere e di fare.
Forse, qui come nel successivo autoritratto con Nini, c’è l’ossessione di essere presente, di vedermi mentre vedo, di partecipare, coinvolgendomi. O, meglio, è una consapevolezza che la macchina non mi appartiene, è un mezzo aggiunto di cui non si più sopravvalutare né sottovalutare la portata, ma proprio per questo un mezzo che mi esclude mentre più sono presente.
Menu